Quando si parla di Giacomo Leopardi si pensa subito ad un grande poeta e scrittore, ad una incisione-Leopardi-Napolidelle più importanti figure della letteratura mondiale. In pochi sanno che il poeta era un grande appassionato di cucina e persona piuttosto golosa. A dare testimonianza delle passioni culinarie del poeta di Recanati è una lista, redatta da Leopardi stesso, con i suoi 49 piatti preferiti. La lista è attualmente conservata alla Biblioteca Nazionale di Napoli insieme alle Carte del poeta. E’ infatti a Napoli che Leopardi riscopre la passione per la cucina e il buon cibo, grazie anche al monzù (termine napoletano per indicare il cuoco delle case patrizie) di casa Ranieri, Pasquale Ignarra.

Nel 1833, insieme all’amico Antonio Ranieri, si traferisce nella Campania Felix, tra Napoli, Capodimonte e Torre del Greco (nel quartiere che in suo onore verrà battezzato Contrada Leopardi). Qui Leopardi vive una vita abbastanza disordinata: dorme di giorno e si sveglia solo nel tardo pomeriggio. Inoltre il poeta chiede che gli servano la colazione al pomeriggio e il pranzo ad un’ora variabile tra le dieci di sera e la mezzanotte. Nonostante la salute cagionevole, non segue le prescrizioni dei medici: se questi gli ordinano di non mangiare carne, decide immediatamente di “perire di pesci e di vegetali”. Quando invece gli prescrivono una dieta di grassi, non ne vuol più sapere di pesce e verdure, dichiarando allegramente di voler “perire” con l’abbuffarsi di lessi e col sorbire brodi densi come la panna. La lista dei piatti preferiti spazia dai primi ai dolci.

"Il Giovane Favoloso" di Mario Martone
“Il Giovane Favoloso” di Mario Martone

Tra i tanti piatti della lista troviamo: riso al burro, frittelle di borragine, bignè di patate, budini di ricotta e l’adorato gelato al miele. La lista, oltre che far conoscere l’uomo dietro al poeta Giacomo Leopardi, è un ottimo modo per avere un quadro della Napoli del XVIII secolo, dei piatti e dei prodotti che venivano consumati nelle case dei personaggi facoltosi dell’epoca. Leopardi morì a Napoli nel 1837. Ranieri raccontò che il giorno in cui morì, l’amico rifiutò del brodo (l’odiata minestra di cui, a 11 anni, scrisse una poesia) che la sorella, Paoletta, volle fargli sorbire per ammortizzare i due cartocci di confetti di Sulmona divorati qualche ora prima, pretendendo “una limonea gelata che qui chiamano granita, sorbita con la consueta avidità”. Grazie alla lista dei 49 cibi, si scopre un lato diverso di Giacomo leopardi, non solo malaticcio e pessimista, ma anche dedito al vizio della buona cucina.

 

 

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