carciofo-romanesco-del-Lazio-logoIl carciofo romanesco del Lazio IGP è un prodotto tipico delle provincie laziali di Viterbo, Roma e Latina in particolare dei dintorni di Ladispoli, Cerveteri e Campagnano. Conosciuto anche come cimarolo o mammola, si differenzia da altre qualità di carciofo per la forma sferica, compatta, con striature violette e la mancanza di peluria interna e di spine. carrciofo-romanesco

Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP viene prodotto utilizzando esclusivamente due cultivar: la Castellammare e la Campagnano. La prima è una cultivar caratterizzata dal periodo di produzione anticipato, verso Gennaio; la seconda è invece tradiva e raggiunge le dimensioni per essere commercializzata a partire da Marzo.

 

Il carciofo veniva consumato già in epoca etrusca, ed è da attribuire a questo popolo la domesticazione del suo genitore spontaneo, il cardo selvatico. Grazie alle condizioni Carciofi-alla-Romanafavorevoli alla cinaricoltura presenti sul territorio laziale, il carciofo si diffuse ben presto su tutto il territorio, anche se inizialmente la coltivazione avveniva solamente a livello di piccoli orti casalinghi. É a partire dal primo dopoguerra che la coltivazione del carciofo romanesco diventa intensiva e inizia l’esportazione in tutta Italia.

Il carciofo romanesco è un prodotto che si presta bene ad essere cucinato ripieno. Nella cucina romana ha un posto d’onore in moltissimi piatti. Tra le ricette più conosciute ed apprezzate sicuramente ci sono i carciofi alla romana: carciofi cotti al forno, conditi con olio e un trito di prezzemolo, mentuccia, aglio, sale e pepe. Il carciofo romanesco alla giudia è, invece, una ricetta di origine giudaica, nato nel getto ebraico di Roma, veniva consumato Carciofo-alla-giudiaspesso nel periodo della ricorrenza di Kippur (ovvero il “Giorno dell’espiazione”). Si tratta di carciofi fritti in abbondante olio, interi. Nella campagna veliterna è usanza preparare i carciofi alla “matticella”. I carciofi, puliti e mondati dalle foglie più esterne, vengono farciti con un battuto di aglio, menta e sale grosso e messi ad arrostire sulla “matticella”, ovvero una brace creata con i tralci della vite ottenuti dopo la potatura.

I pistilli dei fiori del carciofo romanesco del Lazio, in passato, venivano utilizzati come coagulanti per il formaggio al posto del classico caglio.

 

 

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