Il 28 dicembre del 1930, il fondatore del movimento futurista, Filippo Tommaso Marinetti, pubblicò sulla Gazzetta del Popolo di Torino il Manifesto della cucina futurista. Il futurismo è un’avanguardia di inizio XX secolo nata in Italia e, successivamente, diffusasi in altri paesi europei. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura, la musica, l’architettura, la danza, la fotografia e il cinema. Il pensiero cardine dei futuristi era l’esaltazione della modernità e della velocità. Nei loro manifesti si esaltavano il dinamismo, la velocità, l’industria e la guerra, che veniva intesa come “igiene dei popoli”.
Anche nel campo della gastronomia, i futuristi vollero rivoluzionare le basi della tradizione della cucina italiana, ai tempi ancora molto casalinga caratterizzata da prodotti artigianali e non industriali. Il Manifesto della cucina futurista è una rielaborazione, in chiave culinaria, del Manifesto del futurismo di Marinetti. Quest’ultimo esalta la forma fisica e l’agilità e condanna il consumo di pastasciutta, considerata un’ “assurda religione gastronomica italiana”, causa, secondo lui, di “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”. In realtà il movimento strizzava l’occhio all’autarchia fascista che cercava di promuovere il consumo di riso, liberando l’Italia dall’acquisto del grano straniero (“ricordatevi poi che l’abolizione della pastasciutta libererà l’Italia dal costoso grano straniero e favorirà l’industria italiana del riso”).
Oltre all’eliminazione della pastasciutta, il Manifesto esortava all’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali; puntava alla creazione dei cosiddetti “bocconi simultaneisti e cangianti”, ed invitava ad inventare nuovi sapori che fossero accompagnati da musica ed essenze profumate, quasi a far divenire il pasto un evento. Esempi di piatti futuristi sono: il “carne plastico”, una variante dei polpettoni di carne e verdure con l’aggiunta di miele e i “rombi d’ascesa”, un risotto decorato con spicchi d’arancia.
Il cuoco precursore della cucina futurista fu il francese Jules Maincave, che nel 1914 aderendo al Futurismo, annoiato dai “metodi tradizionali delle mescolanze… monotoni sino alla stupidità”, si ripropose di “avvicinare elementi separati da prevenzioni senza serio fondamento: filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola”.
Alcune delle prescrizioni di Marinetti si rivelarono poi profetiche. Ad esempio, si auspicava l’utilizzo in cucina di prodotti chimici, i precursori di additivi e conservanti, e l’uso di strumenti scientifici in cucina: “ozonizzatori che diano il profumo dell’ozono a liquidi e a vivande, lampade per emissione di raggi ultravioletti (…) elettrolizzatori per scomporre succhi estratti ecc. in modo da ottenere da un prodotto noto un nuovo prodotto con nuove proprietà…” come avviene oggi nella cucina molecolare.
I futuristi si impegnarono inoltre a italianizzare alcuni termini di origine straniera: il cocktail divenne così la “polibibita” (che si poteva ordinare al “quisibeve” e non al bar), il sandwich prese il nome di “traidue”, il dessert di “peralzarsi” e il picnic di “pranzoalsole”.
Il Manifesto della cucina futurista di Marinetti non fu solo una bizzarria di inizio XX secolo ma un documento quasi profetico che anticipava i tempi.