Il vino, come molti altri alimenti fermentati, è stato prodotto in maniera casuale attorno al 10000- 9000 a.C. nella zona del Caucaso, a causa, probabilmente, della fermentazione di uva dimenticata in un recipiente. L’ebrezza che donava ha sicuramente reso molto interessante questo prodotto appena scoperto. Con l’abbandono del nomadismo e l’inizio dell’agricoltura, si comincia a coltivare la vite, Vitis vinicola, ma è con gli egizi che questa pratica si sviluppa e con essa anche la produzione di vino. Dall’Egitto la pratica della vinificazione si diffuse presso gli Ebrei, gli Arabi e i Greci. La vite in Italia fu portata dai Fenici che iniziarono a coltivarla in Sicilia. A causa del suo grande potenziale vinicolo, l’Italia fu chiamata dagli elleni Enotria, “terra del vino”. Contemporaneamente, nel cuore del mediterraneo, la vite iniziava dalla Sicilia il suo viaggio verso l’Europa, diffondendosi prima presso i Sabini e poi presso gli Etruschi. Quest’ultimi diventarono abili coltivatori e vinificatori e allargarono la coltivazione dell’uva dalla Campania sino alla pianura Padana.
Agli esordi dell’antica Roma il suo popolo non apprezzava questa bevanda. Il vino veniva prodotto con i grappoli potati in maniera approssimativa e le produzioni erano scarse e di pessima qualità. Dopo le guerre puniche la situazione migliorò, furono importati schiavi greci che migliorarono la vitivinicoltura. Da qui in poi, il vino divenne una delle bevande più amate, al punto che i vigneti furono piantati per tutto l’impero, anche in quelle aree, come il nord Europa, dove la vite non cresceva spontaneamente. A contribuire a questa espansione dell’areale della vite, contribuì anche l’utilizzo dell’innesto. L’uva veniva raccolta matura con l’ausilio di falcetti, trasportata e selezionata: i grappoli migliori venivano usati per i vini di pregio, consumati dai patrizi, e quelli di scarto venivano usati per il vino da dare agli schiavi, chiamato lora. La pigiatura avveniva nei calcatorium, grosse vasche in muratura o pietra. Si aspettava, poi che il mosto si separasse dalle vinacce: queste ultime venivano messe in un torchio e il mosto veniva fatto passare in un’altra vasca dove avveniva la fermentazione. Il vino ottenuto sottoponendo le vinacce ad una seconda pressatura veniva chiamato vinum circunsitum o mustum tortivum e veniva poi aggiunto al mosto fermentato. Dopo sette o otto giorni si travasava il mosto in grossi doli, recipienti panciuti di terracotta, che venivano interrati e si completava il processo di fermentazione. Il vino prodotto dagli antichi romani non assomigliava a quello odierno. A causa della fermentazione non controllata e della bollitura per motivi igenici, l’antico vino era denso, sciropposo e molto alcolico. Proprio per questo motivo non veniva consumato puro ma stemperato con acqua o miele, creando il mulsum, oppure aggiungendo spezie, quali il pepe per aggiustarne il sapore. I vitigni più pregiati erano il Massico, il Falerno, il Cecubo, il Volturno, l’ Albano e il Sabino.
La caduta dell’impero romano portò una generale decadenza che si rifletté anche sulla viticultura. Furono i monaci, soprattutto benedettini, che continuarono a coltivare l’uva e a produrre vino per i riti religiosi e consentirono di preservare la tradizione di questa bevanda.