Nel Valdarno, area compresa tra le provincie di Arezzo e Firenze, la produzione di questa “pancetta” dalle dimensioni inusuali ha origini antiche e riconducibili alla necessità di recuperare ogni parte del maiale adulto: quando non esisteva la refrigerazione, la salatura era l’unico metodo per la conservazione delle carni. Dalla lavorazione dei maiali di oltre 200 chilogrammi derivano le dimensioni veramente ragguardevoli e caratteristiche della tarese Valdarno, che può arrivare a misurare fino a 50 per 80 centimetri di lato.
Per produrre questa grandissima pancetta tesa si utilizzano la schiena e la pancia dell’animale. La lavorazione, dopo la separazione del prosciutto dal tronco anteriore, prevede che la parte centrale sia disossata e rifilata dal grasso in eccesso. Il pezzo è poi strofinato con una prima mistura di pepe, aglio rosso macinato grossolanamente, ginepro e altre spezie toscane, c’è chi usa anche la scorza dell’arancia e, infine, messo sotto sale grosso.
Dopo la salatura, che dura circa 10 giorni, la tarese è lavata, fatta asciugare, nuovamente massaggiata con aglio e spezie, e avviata quindi alla stagionatura per un periodo dai 60 ai 90 giorni. La tarese del Valdarno si caratterizza per un sapore pronunciato e persistente, ma, allo stesso tempo, più fine e delicato rispetto ad altri salumi di simile fattura.
Nel passato era abitudine gustarla, non troppo stagionata, passata per qualche minuto sulla griglia, con un contorno di teneri radicchi invernali che ne esaltano il sapore, o con i fagioli coco e zolfino.La tradizione vorrebbe la macellazione solo di scrofe che raggiungono il peso di 200 chilogrammi, e anche oltre. Purtroppo, oggi, animali di questa stazza sono pressochè introvabili.